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Gli articoli di questa sezione sono volti ad un breve approfondimento, in modo chiaro e semplice, di questioni giuridiche afferenti alla persona, alle relazioni familiari e ai minori.

Con la legge 162/2014 che ha convertito il D.L. 132/2014 si è assistito ad un’importante semplificazione del diritto di famiglia, in particolare per quanto riguarda la separazione ed il divorzio. I tempi lunghissimi che hanno reso la procedura famosa per essere lunghissima, costosa e psicologicamente estenuante, sono stati ridotti enormemente ed oggi bastano anche sei mesi di separazione per poter arrivare al divorzio (anche se nella maggior parte dei casi è bene considerare un anno come periodo di riferimento).

La legge ha introdotto anche la possibilità, nel caso specifico della separazione e del successivo divorzio in Comune, di affrontare la procedura in autonomia senza l’assistenza di un avvocato.

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In seguito ad una sentenza di divorzio alle parti viene ordinato di contribuire secondo le proprie possibilità al mantenimento dei figli, se presenti. Tale mantenimento spesso assume la forma di un assegno mensile da versare al genitore con i quali i figli vivono, indipendentemente dal fatto che vi sia anche un assegno di mantenimento della moglie o del marito.

Purtroppo, per i più svariati motivi, non sempre questo avviene con regolarità, al punto da poter arrivare a mettere in difficoltà la parte che pur non ricevendo il mantenimento si trova comunque a sostenere le spese della vita dei figli. Se malauguratamente ci si dovesse trovare in una soluzione simile è importante non perdere tempo e cercare di porre rimedio alla situazione quanto prima prendendo tutti i provvedimenti del caso.

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La legge Cirinnà introdotta nell’ordinamento nel 2016 è servita per portare la legislazione italiana al passo con situazioni che sono realtà sociali ormai da anni.

La questione di cui si è più parlato al momento dell’approvazione della legge è sicuramente stata l’introduzione delle unioni civili, un istituto che ha finalmente dato legittimità davanti alla legge alle coppie formate da partner dello stesso sesso. Non meno rilevante però è stata la seconda grande novità introdotta dalla l. 76/2016 (il nome “tecnico” della legge Cirinnà), vale a dire la disciplina della convivenza di fatto, realtà diffusissima eppure lasciata fino a quel momento per lo più a generiche disposizioni del codice civile ed ai costrutti di origine giurisprudenziale.

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Quando si parla di adozione in casi particolari, si parla di quel tipo di adozione tramite la quale il minore non recide i contatti con la famiglia d’origine. In tale situazione uno o entrambi i genitori potrebbero essere viventi al momento della procedura di adozione e pertanto chiamati a prestare il proprio consenso alla stessa. Può però capitare che il genitore naturale non sia d’accordo con l’adozione, per qualsivoglia motivo, andando così però di fatto a bloccare una procedura volta a dare una vita migliore al minore.

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Una delle situazioni più sgradevoli in cui ci si possa trovare durante una separazione o dopo un divorzio è quella in cui l’ex partner non paga quanto dovuto. Nel linguaggio comune tale importo è noto come “mantenimento”, anche se parlando in termini giuridici il mantenimento è quello dovuto durante la fase di separazione, volto a far mantenere al coniuge uno stile di vita in linea con quello che si aveva durante la convivenza, mentre dopo il divorzio sarebbe più corretto parlare di assegno divorzile.

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Ci sono dei casi in cui l’adozione “classica”, quella che praticamente tutti conoscono, non è possibile in quanto non sussistono i requisiti, soprattutto quello dell’abbandono del minore. La situazione fattuale del minore però rende auspicabile una sua adozione, pur non in presenza di uno stato di abbandono in senso stretto. In questi casi si ricorre a quella che è l’adozione in casi particolari, un istituto pensato proprio per garantire tutela a quei soggetti deboli che però non hanno i requisiti per l’adozione ordinaria.

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Tutti conoscono l’adozione “tradizionale”, quella in cui una coppia che non può avere figli o che vuole allargare la famiglia adotta un bambino che una famiglia non ce l’ha (o comunque non può farsi carico di lui). Questo istituto è pensato per tutelare al massimo il minore, inserendolo in un contesto familiare che altrimenti non avrebbe. Meno conosciute invece sono le adozioni di maggiorenni, istituto solo all’apparenza simile, in cui la persona adottata è adulta e che nasce soprattutto per questioni legate alla tutela del patrimonio.

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I doveri di un genitore, ossia, come precisato dall’art. 147 c.c., educare, istruire, mantenere e assistere moralmente i figli, sorgono al momento stesso della nascita.  

Pertanto anche se alla nascita  il figlio è riconosciuto solo da uno dei genitori (tenuto perciò a provvedere per intero al mantenimento del figlio, e viene riconosciuto dall’altro solo successivamente oppure la paternità o maternità è accertata in seguito con sentenza, i doveri legati alla procreazione non vengono meno per l’altro genitore nel periodo antecedente il secondo riconoscimento o precedente la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità.

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Sempre più coppie decidono di andare a vivere insieme ben prima di essere sposati e sono tante ormai anche quelle che non fanno mai il passo del matrimonio.
A tutti gli effetti queste coppie vivono esattamente come quelle sposate, condividono la vita di tutti i giorni (inclusi i problemi), in tanti casi ci sono pure dei figli, quindi nella pratica sono esattamente come le famiglie sposate.

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L’adozione del maggiorenne è quell’istituto che permette di creare un legame con una persona maggiorenne al fine di garantire una successione a chi adotta o permettere, ad adulti non autosufficienti, di essere assistiti in maniera idonea o dare riconoscimento giuridico rapporti affettivi di fatto consolidatisi nel tempo.

A differenza dell’adozione “tradizionale”, cosiddetta “piena” in cui una coppia rende legalmente proprio figlio un minore, le adozioni di maggiorenni prevedono delle procedure in generale relativamente semplici, essendo un istituto che si basa fondamentalmente sulla volontà delle parti.

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L’art. 315 bis del codice civile dispone che “il figlio ha il diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni”.

Tale norma, introdotta dalla l. 219/2012, fa riferimento a tutti i figli,  indipendentemente dal fatto che siano nato all’interno o fuori del matrimonio.

Il diritto del figlio ad essere mantenuto, educato, istruito ha rilevanza costituzionale, essendo espressamente previso dall’art. 30 Cost.

Da tale norma oltre e dalle norme di diritto internazionale recepite nel nostro ordinamento si ricava che diritto fondamentale del figlio è condividere fin dalla nascita con entrambi i genitori la relazione filiale, sia nella sfera intima e affettiva di primario rilievo nella costituzione e sviluppo dell’equilibrio psicofisico di ogni persona (ricevendo la cura e la protezione necessarie), sia nella sfera sociale mediante la condivisione ed il riconoscimento esterno dello status conseguente alla procreazione.

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Le unioni civili rappresentano uno dei più grossi passi avanti dell’ordinamento italiano in materia di diritti civili, in quanto risposta alle nuove esigenze della società. Fino all’entrata in vigore della legge n. 76 del 2016 (la cosiddetta legge Cirinnà), l’unica forma di convivenza riconosciuta dalla legge era data dal matrimonio tra persone eterosessuali, nonostante fossero tantissime le realtà di coppie sia di sesso diverso sia dello stesso sesso che convivevano di fatto come delle famiglie.

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Con la legge n. 76 del 2016 anche l’ordinamento italiano si è adeguato alle sensibilità delle società contemporanee in tema di famiglia, permettendo l’unione legale, chiamata unione civile, di due individui dello stesso sesso biologico.
Pur differenziandosi nel nome ed in alcuni aspetti importanti dal matrimonio, l’unione civile presenta con questo anche moltissime similitudini. Proprio come per il matrimonio quindi ci si pone il problema di cosa succede se l’amore dovesse finire e si volesse sciogliere il rapporto. La procedura prevista per lo scioglimento delle unioni civili è semplificata rispetto a quella prevista per il matrimonio, in quanto manca completamente la fase della separazione.

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In un divorzio o in una separazione inutile negarlo, l’aspetto economico gioca un ruolo importante. La parte economicamente forte si trova tendenzialmente a dover versare un corrispettivo alla parte più debole e la situazione si complica se ci sono di mezzo dei figli.

In tal caso, infatti, il genitore non convivente dovrà corrispondere una cifra per il loro mantenimento, indipendentemente dal fatto che qualcosa sia dovuto all’ex partner. Succede però che, per le più svariate ragioni, ci si trovi davanti ad un mantenimento non pagato, vedendosi costretti a farsi carico in toto del mantenimento dei figli.

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Nella società moderna non è raro che le persone intraprendano delle relazioni sentimentali dopo averne avute altre in passato, anche arrivando a contrarre più di un matrimonio civile. In questi casi può tranquillamente succedere che si vada a creare un nuovo nucleo familiare di fatto che oltre ai coniugi include anche i figli avuti da questi da relazioni o anche da matrimoni precedenti. Se dal punto di vista fattuale non si pongono particolari questioni, che cosa dice la legge in merito a questo tipo di diffuse realtà?

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Una delle preoccupazioni più grosse di chi deve divorziare, a parte ovviamente l’aspetto umano della faccenda, sono i costi collegati alla procedura di divorzio ed in particolare all’intervento dell’avvocato. Per questo motivo in molti che si trovano ad affrontare una crisi coniugale si chiedono se sia possibile procedere alla separazione prima ed al divorzio poi senza coinvolgere gli avvocati.

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Divorziare è considerato nell’immaginario comune come un processo lungo che quasi “ferma” la propria vita per anni. Ed in effetti, storicamente, questa immagine non è tanto lontana dalla realtà, visto che quando venne introdotto nel 1970 il divorzio richiedeva una previa separazione di 5 anni con il risultato che tutta la procedura poteva arrivare anche a 10 anni o più. È anche vero però che sono passati 50 anni da allora e che le cose sono notevolmente cambiate in meglio, permettendo oggi un divorzio relativamente semplice (sul piano legale, ovviamente).

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Pensando all’adozione di una persona, la mente va subito ai bambini che entrano a far parte di una nuova famiglia. In tal caso, tutto il percorso è regolato dalla legge 184/1983 (come modificata dalla l. n. 144/2001), che tratta sia dell’adozione cosiddetta piena o legittimante sia delle adozioni in casi particolari  (note anche, impropriamente, come adozioni speciali). 

Con la prima il soggetto adottato è un minore che diventa legalmente figlio della coppia adottante mentre, nella seconda ipotesi, invece, l’adottato è sempre un minore  ma questo acquisisce lo stato di figlio adottivo, che non elide ma si sovrappone al vincolo di filiazione di sangue.

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Con l’adozione si va a creare il legame genitori – figlio tra soggetti non legati biologicamente . Il caso classico in cui questo avviene è quello in cui la coppia che non può avere figli o che vuole allargare la famiglia, decide di richiedere l’adozione di un minore che il tribunale per i minorenni ha dichiarato adottabile in quanto privo di assistenza morale e materiale permanente da parte della famiglia.

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Ha superato il vaglio delle commissioni Bilancio e Finanze ed è stato approvato in Senato il maxi emendamento che, in sede di conversione in legge del D.L. 41/2021, introduce l’art. 12 bis.

Prevista l’istituzione di un Fondo presso il MEF per erogare fino ad 800 euro mensili a genitori lavoratori separati o divorziati che abbiano cessato, ridotto o sospeso la propria attività lavorativa in conseguenza dell’emergenza epidemiologica da Covid-19.

Lo scopo è garantire ad essi, testualmente, "la possibilità di versare" l’assegno di mantenimento ai figli.

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Quando si pensa all’adozione tendenzialmente si pensa al caso in cui una coppia desiderosa di avere figli ma non riuscendovi adotta un bambino, diventandone legalmente genitori.

La procedura è rigidamente regolamentata dalla legge 184/1983 che prevede una serie di requisiti sia per la coppia adottante che per il minore adottando. In realtà, pur rappresentando la maggior parte delle adozioni, quella che rispetta tali requisiti (detta “adozione piena”) non è la sola adozione permessa.

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La procedura di divorzio sin dalla sua introduzione con la legge 1 dicembre 1970, n.898 ha sempre avuto la fama di essere un qualcosa di estremamente complesso, tanto da far desistere coppie che non funzionavano più dall’intraprendere il percorso.
In effetti la procedura prevista inizialmente non era per niente facile, soprattutto era molto lunga e questo ha portato il legislatore ad adottare una serie di provvedimenti di riforma, l’ultimo dei quali con la legge 55/2015 che ha introdotto il divorzio breve, conosciuto anche come divorzio veloce.

Questa nuova disciplina ha ridotto in maniera sensibile i tempi che adesso possono essere anche di soli 6 mesi di separazione prima del divorzio (rispetto ai precedenti tre anni di separazione).

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L’art. 3 della legge sul divorzio, n. 298 del 1970 consente di divorziare decorsi 6 mesi dalla separazione personale dei coniugi, se consensuale, oppure 12 mesi, se giudiziale.

Tale norma prevede, anche, la possibilità che uno dei coniugi chieda il divorzio senza aver prima ottenuto la separazione, in alcune ipotesi tassative quali la condanna penale in capo all’altro coniuge per taluni delitti, la mancata consumazione del matrimonio, il passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione di sesso, l’annullamento o scioglimento del matrimonio ottenuto all’estero dall’altro coniuge straniero o un nuovo matrimonio contratto all’estero dal coniuge straniero.

Non solo.

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Per quanto la stragrande maggioranza delle procedure di adozione coinvolgano dei minori ai quali viene data una nuova famiglia, esiste in Italia la possibilità di creare il legame un legame giuridico in qualche modo simile a quello tra genitori e figli anche nei confronti di persone maggiorenni.

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